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04 febbraio 2019

La Pietra del Sole Mexica - Calendario Azteca

febbraio 04, 2019 4 Comments
foto di Angie Padilla

Come tutti i popoli mesoamericani, i mexica avevano due calendari: uno rituale e uno solare. Le forme e manifestazioni del Sole sono una componente centrale della cosmogonia mexica. Tuttavia il pezzo conosciuto come Calendario Azteca non è in realtà un calendario.
La Pietra del Sole è uno dei monoliti più antichi che si sono conservati della cultura mexica, la cui data di elaborazione fu datata intorno all'anno 1479. Prima della scoperta del monolito di Tlaltecuhtli (dio-dea della Terra) con i suoi 4 per 3,57 metri di altezza, si pensava che la Pietra del Sole fosse la più grande di dimensioni.


Fu abbattuta e interrata con la Conquista del Messico e rimase così fino al suo ritrovamento il 17 dicembre 1790 nella parte sud del Zocalo della Città del Messico.

La Pietra del Sole è un disco di basalto con iscrizioni allusive alla cosmogonia mexica e i culti solari, probabilmente nella sua concezione originale era una pietra per il sacrificio gladiatorio.
Misura 3,60 m di diametro e 1,22 m di spessore, pesa 24 tonnelate. Il pezzo non fu completato a causa di una profonda rottura in uno dei lati. Nonostante la frattura probabilmente fu utilizzato con il proposito di sostenere la lotta dei guerrieri nella cerimonia del Tlacaipehualiztli.
In nahuatl era chiamata Sole di Movimento (Ollin Tonatiuh) evidenziando la sua visione geocentrica. Fu principalmente un oggetto cerimoniale, il pezzo contiene pittografie che rappresentano come i mexica concepivano il trascorrere del tempo ed è il risultato di secoli di osservazioni astronomiche.

I motivi che coprono la sua superficie sembrano essere un sommario della complessa cosmogonia mexica:
Disco centrale. Nel centro del monolito si trova la faccia del dio solare Tonatiuh Xiutecohtli all'interno del segno del movimento (ollin) con le sue due mani, ognuna con un bracciale. Inoltre i suoi artigli catturano un cuore umano e la sua lingua è rappresentata come un coltello di selce, esprimendo la necessità di sacrifici per la sopravvivenza dell'astro.
Le quattro aree. I quattro quadrati che circondano la divinità centrale, rappresentano i precedenti quattro soli che precedettero l'attuale Quinto Sole.
Il quadrato superiore destro rappresenta il 4 Giaguaro, giorno in cui terminò la prima era, dopo 676 anni al sorgere dalle viscere della terra mostri che divorarono la gente. Rappresenta l'elemento Terra.
Alla sinistra in alto si trova il 4 Vento che ricorda che dopo 364 anni, uragani agitarono la Terra e fecero in modo che coloro che non morirono si trasformassero in scimmie. Rappresenta l'elemento Aria.
Sotto a questa (sinistra in basso) si trova il 4 Pioggia. Questo mondo durò 312 anni e coloro che vissero in questa epoca morirono o si trasformarono in pollame a causa di una pioggia di fuoco. Rappresenta l'elemento Fuoco.
Nel quadrato inferiore destro si trova il 4 Acqua, precedente al nostro mondo, che durò 676 anni e terminò quando coloro che lo abitavano morirono annegati dall'acqua. I sopravvissuti si trasformarono in pesci e anfibi. Rappresenta l'elemento Acqua.

Primo anello. La successiva corona è formata dai pittogrammi dei venti giorni del calendario sacro azteca (Tonalpohualli). Questi si leggono in senso contrario alle lancette dell'orologio e sono: coccodrillo (Cipactli), vento (Ehecatl), casa (Calli), lucertola (Cuetzpallin), serpente (Coatl), morte (Miquiztli), cervo (Mazatl), coniglio (Tochtli), acqua (Atl), cane (Itzcuintli), scimmia (Ozomatli), erba divina (Malinalli), canna (Acatl), giaguaro (Ocelotl), aquila (Cuauhtli), avvoltoio o poiana (Cozcaquauhtli), movimento (Ollin), coltello di selce (Tecpatl), pioggia (Quiahuitl) e fiora (Xochitl).
Secondo anello. La seconda corona contiene multiple sezioni quadrate, in ogni sezione ci sono cinque punti (quincunce). Ci sono anche otto angoli che dividono la pietra nello stesso numero di parti. Si considera che questi rappresentino i raggi solari collocati in direzione dei punti cardinali.
Terzo anello. Nella parte più bassa della pietra ci sono due serpenti di fuoco (Xiuhcoatl) che circondano e incorniciano la pietra e portano il dio Sole attraverso il firmamento, uno di fronte all'altro. I suoi corpi sono divisi in sezioni che potrebbero rappresentare cinquantadue cicli annuali: il secolo azteca consisteva in 52 anni, ogni corrispondenza tra il principio dell'anno civile con quello sacro.
Nella parte superiore del monolito, un quadrato scolpito tra le code dei serpenti rappresenta la data 13 Acatl, che corrisponderebbe al 1479, l'anno in cui il monolito fu completato.

Il pezzo originalmente veniva utilizzato in posizione orizzontale, oggi per via della sua esibizione, viene mostrato verticalmente come il simbolo principale del patrimonio indigeno dei tutti i messicani.
Attualmente la Pietra del Sole si trova nella Sala Mexica del Museo Nacional de Antropología a Città del Messico.


Bibliografia: Eduardo Matos Moctezuma, Felipe Solis, Roberto Velasco (2004), "El calendario azteca y otros monumentos solares", Mexico, Azabache. 
Tratto dal fascicolo "Mexica" del Museo Nacional de Antropologia de Mexico, Informa, Mario Stalin Rodriguez (2011).

26 novembre 2018

Teotihuacan - centro di culto della Mesoamerica

novembre 26, 2018 0 Comments
Teotihuacan, città precolombiana nella Valle del Messico, fu la più importante durante il periodo classico tra il 300 e il 400 in America. La sua élite governante costruì un impero che dominò gran parte dell'altopiano centrale messicano ed estese la sua influenza culturale attraverso colonie ed enclavi commerciali nella costa del Golfo del Messico, Oaxaca e l'area Maya. Con la ricchezza generata per la sua attività di interscambio e per via della sua importanza religiosa, i teotihuacani costruirono una delle prime città con strade, aree di culto, unità abitative divise per quartieri di artigiani e diverse etnie o stati sociali. Oltre alla centralità ed importanza della città a livello economico e di scambio commerciale, Teotihuacan si convertì nel centro di culto più importante dell'altopiano centrale e di quasi tutta la Mesoamerica.

foto di Angie Padilla

CENTRO DI CULTO

L'antica società di Teotihuacan era politeista. La religione si basava sugli elementi della natura - climatici e astrali - che avevano una grande importanza per il ciclo agricolo. Sono state trovate divinità che sembrerebbero rappresentare il fuoco, l'acqua, la pioggia, la terra, il sole, la luna e Venere. Altre rappresentazioni derivano dai personaggi mitologici che formano parte delle storie sacre di altri popoli della Mesoamerica e del resto dell'America, come ad esempio il mostro rettile che riposava nel mar caotico che esisteva prima della creazione del mondo.
Molte tra le divinità più importanti degli aztechi e dei loro contemporanei, così come i popoli indigeni attuali, hanno delle rappresentazioni antec
edenti trovate a Teotihuacan.

La città di Teotihuacan e i dintorni furono concepiti come un modello del cosmo e si diceva fosse il luogo dove emersero la prima montagna del mondo e il sole. I templi costruiti sopra le piramidi rappresentavano il livello celeste, la città rappresentava il livello terreno e l'inframondo era abitato dagli antenati, i cui corpi venivano spesso sotterrati nel terreno sotto le case.

CULTO DEGLI ANTENATI

Nelle abitazioni sono stati trovati indizi di culti a livello familiare che hanno permesso di ricostruire parzialmente le attività religiose che venivano praticate all'epoca. Vi erano altari e rappresentazioni di divinità in argilla e pietra. Sotterrati sotto gli altari centrali sono state trovate ossa degli antenati della famiglia o del clan che vivevano nella stessa abitazione. Sappiamo dunque per certo che venivano effettuate cerimonie di culto agli antenati familiari a cui erano dedicati gli altari. A loro veniva offerto cibo in una forma simile a quella attuale che viene svolta durante il Giorno dei Morti.

Nonostante la religione non avesse una concezione simile alla reincarnazione, tra i vari popoli indigeni mesoamericani del passato e presente, si pensava che le anime o l'essenza dei morti andassero a risiedere in diversi luoghi del cosmo riservati agli dei. Così, in diverse rappresentazioni degli dei, essi venivano accompagnati da gruppi di insetti, che nella mitologia degli aztechi o degli huicholes venivano visti come le anime degli antenati che accompagnavano e aiutavano diverse divinità come il sole, la luna o Venere a combattere nelle battaglie cosmiche quotidiane rappresentate ad esempio dal passaggio tra la notte e il giorno.

Associate con i grandiosi complessi architettonici della Piazza del Sole, della Piazza della Luna e la Cittadella, furono trovate una serie di divinità le quali erano adorate in grandi cerimonie pubbliche. È possibile che si realizzassero grandi pellegrinaggi a Teotihuacan. 


SACRIFICI UMANI

Sebbene non siano stati ritrovati a Teotihuacan rappresentazioni grafiche realistiche di sacrifici umani in murales o con oggetti, tuttavia alcune mostrano divinità che portano coltelli curvi di ossidiana con glifi che si pensa possano essere la rappresentazione di cuori grondanti sangue. Sia i coltelli che i glifi, sono stati associati al sacrificio umano.
Inoltre sia gli scavi fatti nella Cittadella che nella Piramide della Luna, hanno dissotterrato una grande quantità di scheletri di persone che con molta probabilità furono sacrificati e sotterrati lì come offerta per la fondazione del tempio, anche se non si può precisare in che modo avvennero le esecuzioni. È certo che siano stati effettuati sacrifici in grande numero come cerimonie di fondazione dei templi più importanti. Ciò che ancora non sappiamo è se venivano effettuati sacrifici e di che portata, durante i cicli rituali periodici.

Liberamente tratto dal fascicolo del Museo Nacional de Antropologia de Mexico.
Traduzione e rielaborazione mia, non prendere senza citare la fonte.

16 ottobre 2018

Il Giorno dei Morti in Messico - culto degli antenati (ripubblicazione)

ottobre 16, 2018 11 Comments



Nell'innumerevole serie di incertezze, paradossalmente, la morte è l'unica certezza che abbiamo in vita e quella che ci mettiamo più tempo ad accettare.  Si tratta di un momento fondamentale del ciclo della vita dell'uomo e della natura, per questo motivo in Messico, il Giorno dei Morti diventa un momento per esorcizzare la paura della morte e addirittura ridere di essa e con essa.
Personalmente amo moltissimo questa festa e credo molto nel culto degli
antenati, per cui ho deciso di parlarvi della tradizione messicana relativa a questo giorno speciale.

11 ottobre 2018

Saghe, þættir e carmi islandesi medievali tradotti in italiano

ottobre 11, 2018 5 Comments


Dopo le due Edda e i carmi singoli, oggi vi parlo delle saghe edite in Italia. Spesso in caso di varie edizioni o edizioni con più saghe all'interno, è difficile risalire a una saga e io stessa mi sono trovata spesso in difficoltà in passato nel reperire in quale libro trovare una certa saga. Per questo motivo, nella speranza di esservi utile, ho deciso di stilare una lista delle saghe che al momento sono state tradotte in italiano, anche se alcune sono purtroppo fuori catalogo.
Ho fatto un elenco in ordine alfabetico per titolo originale con traduzione accanto e le edizioni italiane sotto. In caso di varie edizioni per lo stesso titolo, ho indicato con il simbolo [*] l'edizione consigliata. Mentre (x) indica che l'edizione non è consigliata.
Mi auguro che questa lista possa ampliarsi molto di più con il tempo, grazie a nuove traduzioni e ripubblicazioni di saghe antiche.

04 ottobre 2018

Miti nordici: da dove iniziare (in italiano)

ottobre 04, 2018 9 Comments


Mi viene chiesto molto frequentemente, da persone che non si sono mai approcciate al mondo scandinavo, da dove cominciare per conoscere i miti nordici. Così ho deciso di scrivere questo articolo per darvi il mio personale consiglio. Ho selezionato tre testi che trovo siano la base fondamentale da cui partire e successivamente approfondire con altre saghe e saggistica adeguata.
Siccome sono famosa per dare sempre troppi titoli, mi sono imposta di cominciare a limitare i miei consigli a pochi testi alla volta ed eventualmente approfondire in articoli successivi.
Dunque, torniamo al punto. Quali titoli sono a mio parere i migliori libri per cominciare a leggere i miti nordici? Ecco la mia lista dei tre titoli imprescindibili in ordine di lettura consigliato.

27 settembre 2018

Stregoni, pagani ed esseri soprannaturali: l’alterità dei Sami nei racconti popolari norvegesi - Luca Taglianetti

settembre 27, 2018 4 Comments
A Genova dal 9 all'11 novembre 2017 si è tenuto il X convegno italiano di Studi Scandinavi a cui ho avuto il piacere di partecipare, dal titolo:

Il diverso, il nemico, l'altro. Figure dell'alterità nelle letterature scandinave.

Il rapporto con l’altro ha da sempre definito lo sviluppo degli individui, delle comunità, dei popoli e delle nazioni. Fosse presenza scomoda ma necessaria, alleato, capro espiatorio, nemico, portatore di uno sguardo diverso e di un arricchimento culturale o materiale oppure di una minaccia reale o presunta, l’altro è stato ed è un elemento costante nell’esperienza umana e ciò si riflette, per esempio, nell’elaborazione delle leggi prima ancora che in letteratura. Nella modernità la riflessione sull’idea dell’altro, degli altri, dell’alterità si è certamente arricchita di nuovi strumenti e nuove sensibilità, pur non avendo risolto gli aspetti critici, quanto mai attuali. Il tema di questo convegno, con il quale, tra l'altro, ricorderemo la compianta Gianna Chiesa Isnardi e festeggeremo i 25 anni della sezione Scandinavistica di Genova da lei fondata, è pertanto particolarmente interdisciplinare: i relatori proporranno riflessioni sulla rappresentazione dell’alterità, sulla sua stessa definizione, sulle strategie di scrittura, sulla tendenziosità e sulla possibile obiettività nella rappresentazione “degli altri”, esplorando il tema sotto molteplici prospettive (letterarie e linguistiche in primo luogo, ma altresì filosofiche, storiche, sociolinguistiche, antropologiche) alla luce del dibattito critico internazionale e nordico.
Le aree linguistico-culturali coinvolte sono la danese, feroese, islandese, norvegese, svedese e svedese di Finlandia nei periodi medievale, moderno e contemporaneo.
I responsabili scientifici del convegno: Paolo Marelli, Davide Finco, Chiara Benati e Andrea Berardini.
Qui potete vedere il link dell'evento.

11 settembre 2018

Seminario sulle tradizioni manoscritte del medioevo germanico - Università di Pisa 8/10/2015 (ripubblicazione)

settembre 11, 2018 7 Comments
Un libro è un 'testo', o lo si comprende o non lo si comprende. Vi si trovano forse alcuni brani 'difficili'. Per comprenderli occorrerà una tecnica: questa si chiama filologia. Poiché la scienza della letteratura si occupa di testi, è perduta se non fa uso della filologia: questa non può essere sostituita né dall'intuizione né da alcuna visione di essenze.
E.R. Curtius

Ho avuto il piacere di seguire un interessante seminario tenuto dalla professoressa Maria Rita Digilio all'Università di Pisa il 13 ottobre 2015 riguardo le tradizioni manoscritte del medioevo germanico, dunque ho deciso di condividere con voi gli argomenti trattati con un breve articolo di riepilogo che spero possa piacervi.


L'ecdotica o critica testuale, non può prescindere dal metodo di Lachmann, un metodo che a regime dovrebbe consentire la scomparsa dell'editore, per via di una procedura scientifica, meccanica, inoppugnabile e inevitabile. Per Lachmann i copisti hanno rovinato i testi rendendoli pieni di errori. Lavorando al testo con metodo scientifico, Lachmann credeva di poter arrivare al testo originale nella sua integrità e perfezione. Ma i più rigidi riguardo questa idea sono i Lachmaniani più che Lachmann stesso. Il metodo di Lachmann era asettico e non poteva essere uguale per tutte le filologie, dato che ogni ramo linguistico della filologia si differenzia per numero e tipo di fonti. Per tale motivo, il modo di fare le edizioni critiche deve essere estremamente diverso per ogni filologia, dunque usare approcci diversi pur partendo da uno stesso metodo.

Il metodo Lachmann (1793–1851) non è mai stato scritto da Lachmann, ma fu ricavato dai suoi appunti. La sua ambizione era elaborare una prassi operativa talmente netta e univoca da essere applicata a tutte le lingue e su tutte le tipologie testuali. Essa aveva uno stampo pragmatico, non teorico. L'obiettivo era restituire il testo originale o comunque molto vicino alla sua base. L'autore redige un'opera originale da cui poi vengono redatte delle copie manoscritte che trasmettono l'opera. La copiatura rende impossibile conservare l'originalità del testo dato l'elevato numero di errori dei copisti.

Lachmann era un tedesco dell'800 e la sua ambizione era di ripristinare i testi originali corrotti dai copisti per ricreare la volontà dell'autore. Il metodo prevedeva due fasi di lavoro per creare l'edizione critica di un testo.
1° fase: Recensio
2° fase: Emendatio
Nella fase della recensio, i filologi devono procurarsi tutti i testimoni dell'opera di cui desiderano curare l'edizione critica, confrontare tutti i frammenti e i testi pervenuti. In questa fase è necessario non intervenire con interpretazioni personali, ma procedere tramite un lavoro meccanico e oggettivo, limitandosi ad accostare, trascrivere e confrontare le varie fonti.

Dai manoscritti pervenuti si deve quindi arrivare a capire l'originale, stabilire l'archetipo, che non è l'originale ma il testo ricostruito sulla base di tutte le testimonianze, il quale non necessariamente sarà il testo corretto. Si parte dal principio che l'autore abbia scritto qualcosa di perfetto ma non necessariamente vero. L'archetipo è lo stadio testuale derivato dalla recensio. I testimoni del testo che abbiamo possono essere apparentati sulla base degli errori che condividono. E sono di due tipi: Congiuntivo quando i testimoni condividono lo stesso errore, Disgiuntivo quando un errore in un unico testimone lo distingue e separa dagli altri. I copisti a volte aggiungono o riscrivono brani dove ci sono pezzi mancanti o errori e questa manipolazione di una manipolazione causa danni peggiori. C'è una teoria chiamata Lectio difficilior, secondo cui il testo corretto è sempre quello più difficile.

Quando in un testo si trova un punto difficile da capire o una parte mancante, i vari copisti finiscono per modificare ognuno a modo suo il manoscritto, perdendo il senso del testo originario. Gianfranco Contini definisce questa banalizzazione con il termine diffrazione. Non bisogna quindi considerare necessariamente corretta la versione del brano riscontrata nella maggioranza dei testimoni, ma valutare le parentele dei testi. Bisogna ragionare sui vari frammenti per arrivare a quello più presumibilmente corretto, facendo una scelta non sempre coerente con le precedenti.
Il filologo lavora sulla globalità del testo, rilegge centinaia di volte e analizza tutto nei dettagli, a volte rivolgendosi anche all'aiuto di altre lingue. Anche nel caso di Beowulf ad esempio, in cui vi è un solo manoscritto, si tende a temere di metterci mano, ma a rispettare troppo il testo si fa un torto all'opera laddove venga scoperto un errore. L'editore spesso cambia l'originale per rispettare l'allitterazione, il significato o per questioni grammaticali.
Dopo aver messo insieme tutti i manoscritti, bisogna lavorare all'emendatio ovvero avere il coraggio di correggere per rispettare l'autore. In questa fase c'è il rischio di esagerare nella correzione, come accadde proprio a Lachmann con intromissioni spaventose, così come per i suoi seguaci che non avevano il genio necessario per tale lavoro. Si lavora su una ricostruzione lessicale, linguistica e cognitiva.

Bediér, famoso filologo francese, propone un altro metodo di lavoro, ovvero quello di scegliere un solo testimone, il testo che a proprio giudizio sia il migliore per fedeltà all'originale e rinunciare alla collazione, ovvero al confronto con gli altri testimoni. Si basa quindi su un solo manoscritto, ritenendo inutile applicarsi su tutti gli altri poiché non esiste un metodo certo di lavoro per stabilire cosa cosa sia corretto e cosa no. 

Un testo critico vive a metà tra l'opera originale e la ricerca della verità. L'opera è quella che doveva essere ma non ci è pervenuta, l'altra è la verità del manoscritto che abbiamo.
Per essere efficace il metodo Lachmann deve soddisfare i seguenti requisiti:
  1. La tradizione deve essere chiusa, ovvero deve esistere un solo e unico archetipo.
  2. La trasmissione deve essere esclusivamente verticale, ovvero la copia scritta da un unico antigrafo e le successive copiate sempre da quello precedente.
  3. Stabilire su base certa di errori condivisi, la parentela del manoscritto.
  4. I copisti devono mantenersi fedeli alla fonte.
La tradizione può essere aperta o chiusa. Il metodo dunque funziona solo se derivano tutti da un unico antigrafo, cosa che però non accade quasi mai. Se erano in possesso di due copie diverse di uno stesso testo, ad esempio, i copisti copiavano brani da entrambi i testimoni finendo per rendere inefficace il metodo Lachmann.
Nel 1990 esce sulla rivista Speculum, un articolo sulla discussione già molto viva della critica del testo. Piuttosto che inseguire la chimera del testo giusto con l'analisi delle varie edizioni, suggeriva di affidarsi ad un unico manoscritto. Questo metodo tuttavia produce spesso critiche che banalizzano il lavoro dei filologi, portando alcuni a spacciare per edizione critica la semplice copia dell'edizione di un manoscritto. Se per Lachmann il manoscritto singolo è secondario, per gli altri della new philology diventa principale, si accontentano quindi della storicizzazione del testo.
Il testo letterario medievale non veniva letto direttamente dal pubblico, ma veniva declamato a un pubblico non alfabetizzato che acoltava. Gli elementi della tradizione orale si trasferiscono allo scritto e la tradizione tramandata diventa schizofrenica. Il testo medievale è un'opera aperta a variazioni infinite. La New Philology nega il concetto di testo e il concetto di autore. Se il narratore orale durante la recita di un testo si inventa dei brani, lui stesso diventa un autore.

L'edizione critica si fa tenendo conto di tutte le varianti ma anche segnalando le variazioni al lettore. Il filologo può fare delle scelte a patto che le indichi. I manoscritti si sono contaminati a vicenda e quindi è imposisbile arrivare all'originale. La critica si fa sulla filologia, è la base. Si studia sul testo elaborato dai filologi. La prima critica letteraria la fanno gli stessi filologi.

06 dicembre 2017

10 cose che forse non sapete riguardo ai Vichinghi (parte 2)

dicembre 06, 2017 8 Comments
Ieri sera ho provato a fare una diretta sulla pagina facebook del blog (QUI) ma la connessione internet non andava bene e quindi non sono riuscita a fare un video decente e alla fine ho dovuto interrompere. Mi dispiace, spero di rimediare presto. Intanto vi ringrazio per l'interesse verso questo articolo e vi lascio alla seconda parte!
La prima parte dell'articolo potete leggerla QUI

6. I vichinghi non sono celti.

Culture La Tene Hallstatt
L'epoca di massimo splendore dei Celti avviene tra il IV-III secolo a.n.e., mentre l'epoca vichinga come abbiamo detto nella prima parte di questo articolo va dal 793 al 1066. Dunque non solo non sono lo stesso popolo ma non hanno nemmeno avuto reali contatti. È vero che molte tribù celtiche sono sopravvissute a lungo, tuttavia non erano più il popolo di un tempo dato che l'egemonia celtica in Europa ha cominciato il suo declino intorno al I a.n.e.
Oppida celtici

Tuttavia Celti e Germani in passato non avevano una distinzione così netta, oggi vengono considerate due facce di un'unica civiltà. Ovviamente non esiste un popolo unico celtico, ma si tende a unire culture affini sotto uno stesso nome in maniera convenzionale. I Greci chiamavano Celti coloro che vivevano nella metà occidentale dell'ecumene antagonista agli "Sciti". Dunque erano un insieme di tribù, etnie e leghe. La "I cotatti più significativi tra Celti e Germani si ha tra la tarda epoca di Hallstatt (VI-IV a.n.e.) e la metà dell'epoca di La Tène (III-I a.n.e.)" (Marco Battaglia "I Germani")
La divisione tra Celti e Germani è dovuta a Giulio Cesare che nel suo "Commentarii de bello gallico" (58 a.n.e.) usava il Reno come divisore tra le due culture e sancì l'uso del termine "Germani".
Essi condividono delle isoglosse che dimostrano uno sviluppo simile a livello sociale e culturale. Rimane però un primato della cultura materiale celtica rispetto a quella germanica.

Se gli uomini desiderano ascoltare i grandi eventi che ebbero luogo in tempi antichi, devono scoprire ciò che non conoscono e poi mandarlo a memoria. Se poi si desiderano imparare storia più lunghe e inconsuete, è consigliabile trascriverle, prima che la loro memoria si perda. - Saga di Teoderico da Verona

7. Le rune non sono oracoli magici celtici.

Dopo quanto detto sopra, potete capire perché sentir parlare di rune celtiche mi causa sempre qualche scompenso. Siccome ho intenzione di parlavi più dettagliatamente di rune nei prossimi articoli, qui mi limiterò a brevi accenni perché da dire c'è davvero molto e non mi è possibile trattarlo qui.
È vero che dal V secolo fino al IX secolo si protrasse l'uso delle rune nell'Inghilterra anglosassone, ma rappresenta una consapevole alterità rispetto al resto della tradizione runica, anche per un forte influsso della cultura letterata cristiana. In ogni caso si trovano testimonianze runiche anche in Italia ad esempio, ma le rune rimangono un sistema di scrittura epigrafica, una delle prime testimonianze linguistiche germaniche antiche.
I primi ritrovamenti partono dalla metà del I secolo, e il termine runa è un prestito islandese del XVII secolo. La questione sull'uso magico-rituale delle rune è controversa e ancora oggetti di accesi dibattiti tra i filologi. È vero che c'è stata scarsissima conservazione di iscrizioni su materiali deperibili, ma delle attestazioni su pietra (più recenti di almeno due secoli) solo una stretta minoranza invoca direttamente una divinità pre-cristiana. Le rune dunque sono usate moltissimo anche in ambiti profani e questo porta ad affermare che non furono create espressamente come simboli magici o sacrali o come scrittura segreta. Questo non permette di affermare scientificamente che abbiano un qualsivoglia valore magico o sacrale, tuttavia è plausibile supporlo data la mancanza di diverse testimonianze. La mancata avversione cristiana per tale scrittura aumenta i dubbi e fa supporre che l'accostamento delle rune alla sfera soprannaturale sia avvenuta nella fase del suo declino funzionale, ovvero quando è stata soppiantata dall'uso della scrittura latina perdendo quindi il suo uso per comunicare. Prendendo invece per buona l'idea magica, è anche vero che un uso simile può comportare la distruzione del testimone. Quindi la questione rimane aperta, ma ribadisco che l'ipotesi magico-sacrale non può essere affermata scientificamente per mancanza di reperti sufficienti.

So che pendetti dall'albero ventoso, nove notti intere, di lancia ferito e dato a Odinn, io stesso a me stesso, su quell'albero che nessuno sa da quali radici provenga. Con pane non mi ristorarono, né con corno, scrutai giù; raccolsi le rune, gridando le presi, caddi nuovamente di là. (...) Rune troverai e chiari segni, grandissimi segni, fermissimi segni che dipinse il Terribile Vate e fecero i Numi possenti e incise Hroptr tra gli Dei. - Havamal (trad. Antonio Costanzo)

8. Il vegvisir non è un simbolo di epoca vichinga.

Anche su questo simbolo e in generale sui Galdrastafir ci sarebbe molto da dire e forse approfondirò il tema in un articolo a riguardo.
Il Vegvísir negli ultimi anni è diventato molto di moda, il cosiddetto "compasso runico", un talismano trovato esclusivamente in Islanda. La parola deriva dall'islandese e significa "segnavia": Veg da "Vegur" ovvero "strada","sentiero" e "Vísir" sta per "Guida". Esso si trova nel "Manoscritto di Huld" (che potete leggere in originale QUI), uno oscuro grimorio islandese scritto da Geir Vigfússon nel 1860 in cui si legge:
'Beri maður stafi þessa á sér villist maður ekki í hríðum né vondu veðri þó ókunnugur sá.' - Se qualcuno porta con sé questo simbolo, non perderà mai la propria strada nella tempesta o nel cattivo tempo, anche se percorre una strada a lui sconosciuta - Huld Manuscript
In molti trasmettono l'idea che il vegvisir fosse tracciato dai vichinghi islandesi sulle navi, eppure non è mai stato trovato alcun reperto con questo simbolo inciso sopra. Dunque non si può affermare che sia di origine vichinga perché non ci sono attestazioni di alcun tipo precedenti al 1600.
L'idea che rappresenti una bussola è una concezione moderna dato che molti galdrastafir sono in forma di ruota a otto punte.
Il primo tentativo di studio del vegvisir è stato fatto da Ólafur Davíðsson nel 1903 nel suo saggio dal titolo "Isländische Zauberzeichen und Zauberbücher", tuttavia questo come gli altri tentativi di traduzione mancano di precisione e hanno trasmesso errori modificando sostanzialmente il simbolo originale.
Anche Stephen Flowers riporta questo simbolo preso dall'Huld Manuscript in una versione modificata in appendice al suo libro "The Galdrabók - An Icelandic Grimoire" nel 1989 che traduce un antico grimorio del 1600 chiamato appunto Galdrabók in cui però il Vegvisir non è presente. Questa pubblicazione ha ispirato molte persone e artisti trasmettendo così gli errori di Flowers ovunque. Persino la nuova edizione del testo del 2005 che ha corretto alcuni errori del Galdrabók, non ha comunque risolto le inesattezze sul Vegvisir del manoscritto di Huld in appendice.
Persino l'Huld Manuscript è la copia di varie fonti precedenti, i simboli di questo manoscritto compaiono anche in altre raccolte che alcuni ritengono più vicine agli originali grimori da cui hanno attinto. I due più importanti sono il Galdrakver - Lbs 4627 8vo (disponibile online dalla National and University Library of Iceland) e il Galdraskraeda di Jochum "Skuggi" Eggertsson (pubblicato poi nel 1940) in cui il Vegvisir è incluso in un cerchio a differenza dell'Huld Manuscript che lo inscrive in un quadrato.
La versione che si trova su Wikipedia è una grafia semplificata e quindi errata.


9. La serie tv Vikings non è storica e Ragnarr è un personaggio leggendario.

Ero molto in dubbio sul trattare la questione per il semplice fatto che potrei analizzare la serie su vari livelli, dalla storia, il mito, la leggenda, usi e costumi, aspetto fisico, letteratura... insomma troppo per questo articolo. La serie Vikings ha avuto un enorme successo tanto da portare all'attenzione della massa il mondo nordico e avviare quel fenomeno di revival vichingo che possiamo vedere ovunque.
La questione su cui mi soffermo è la storia di Ragnarr Loðbrók, su cui si concentra la serie.
Ci sono diverse fonti scandinave dell'epoca medievale che parlano di questo personaggio tra lo storico e il leggendario. Io personalmente ho letto la Saga di Ragnarr dell'edizione Iperborea (tra l'altro da poco ripubblicata per la gioia di tutti noi!) che contiene la Saga di Ragnarr (Ragnars saga Loðbrókar) e l’Episodio dei figli di Ragnarr (Ragnarssona þáttr), testi islandesi del XIII-XIV secolo tradotti da Marcello Meli. Ovviamente ve la consiglio perché oltre ad essere una bellissima ed appassionante lettura, è molto ben fatta come tutte le edizioni Iperborea che per me sono sinonimo di qualità.
Il personaggio di Ragnarr probabilmente nasce dall'unione di vari capi vichinghi, tra cui Raginarius che attaccò Parigi nell'845 a cui si sono aggiunti nel tempo gesta fantasiose. Non abbiamo certezza della sua esistenza, ma certo è che è esistito Ívarr Senz’ossa arrivato in Inghilterra con la sua armata vichinga nel IX secolo e conosciuto come uno dei figli di Ragnarr.
In queste saghe non si fa menzione della tanto amata guerriera Lathgertha, che invece viene presentata da Saxo Grammaticus nei Gesta Danorum del 1200 come prima sposa di Ragnarr.
La serie mette in scena anche lo storico Rollo (che nella Göngu-Hrólfs saga viene chiamato Hrólfr), fratello di Ragnarr nella serie tv. Egli ricevette da Carlo il Semplice la Normandia convertendosi al cristianesimo.
Molti sono i nomi che compaiono in saghe, miti, leggende o storia, come Aslaug figlia dei leggendari Sigurd e Brunilde, Ella e Alfredo d'Inghilterra, Harald Bellachioma, primo re di Norvegia, Flóki Vilgerðarson, colnizzatore dell'Islanda e Harbarðr (uno dei nomi di Odino).
Ovviamente questa serie tv non è una riproduzione storica del mondo nordico medievale, tuttavia è una serie piacevole se si va al di là del discorso filologico e che ha di positivo incuriosire le persone sul mondo nordico e sui vichinghi. Io personalmente non ho ancora finito di vedere la serie, rimando continuamente, ma prima o poi tenterò di riprenderla.

La vita ho arrischiato per la gloria, donna avvenente: combattei il ‘pesce del suolo’ all’età di quindici anni; avrò, a meno che la malasorte mi tocchi, una morte rapida, il ‘salmone della brughiera’ al cuore avvolto in anelli, non sa avvilupparsi. - Saga di Ragnarr (ed. Iperborea)
 

10. Le due edda non sono state scritte in epoca vichinga.

Quando si parla di mitologia nordica vengono sempre citati i due testi principali sul corpus mitologico degli antichi scandinavi, ovvero la cosiddetta Edda poetica e l'Edda di Snorri Sturluson.
L'Edda o Edda in prosa, è un manuale prosastico di arte poetica per apprendisti scaldi realizzato da Snorri Sturluson tra il 1222 e il 1225. In esso vi troviamo poemi mitologici che sono la base per la composizione scaldica, infatti molte strofe sono incomplete e inserite solo a scopo illustrativo per spiegare i miti a cui le kenningar fanno riferimento. È proprio grazie a questo lavoro se siamo in grado di capire buona parte del materiale mitologico e scaldico che altrimenti risulterebbe incomprensibile. I poemi contenuti risultano più antichi dell'edda poetica, in un periodo di difficile datazione tra l'800 e il 1200, con un culmine nel X secolo. Molto del materiale a cui fa accenno Snorri non è mai pervenuto fino a noi. L'edda poetica invece è una raccolta anonima di 29 carmi eroici e mitologici allitteranti di tradizione orale di origine ed epoca diverse di cui i più antichi potrebbero risalire al X secolo, tuttavia è stata scritta da un unico compilatore che ha raccolto il materiale in maniera organizzata. Probabilmente furono copiati da fonti islandesi e ordinati in un manoscritto risalente al XIII secolo e ricopiati intorno al 1280. Questo manoscritto fu scoperto dal vescovo Brynjólfur Sveinsson, un collezionista, nel 1643. Vedendo che quel nuovo manoscritto conteneva in forma più completa alcuni poemi citati da Snorri, ritenne che fosse il manoscritto più antico consultato proprio da Snorri stesso, motivo per cui gli è stato dato lo stesso nome della sua opera benché trasmettano opere diverse. In realtà l'opera di Snorri risulta più antica e l'edda poetica ha subito influssi successivi all'opera di Snorri. Dunque non è un'opera pre-cristiana ma inevitabilmente anche la composizione dei miti per quanto tramandati di generazione in generazione ha inevitabilmente subito degli influssi cattolici e non ci è giunta pura.


E ancora parlò Ægir: «Da dove ha avuto origine quell'arte che voi chiamate poesia?»
Bragi rispose: «L'inizio di ciò che fu che gli dei ebbero un conflitto con il popolo che si chiama dei Vani. E quanto dissero in un convegno di pace stabilirono la tregua in questo modo: entrambe le parti si recarono a un recipiente e vi sputarono la propria saliva. - Edda di Snorri Sturluson (trad. Gianna Chiesa Isnardi)



Spero che questa seconda parte vi sia piaciuta! 
E voi sapevate queste cose? Avete dubbi o domande sui vichinghi? 
C'è altro che vi piacerebbe sapere?

29 novembre 2017

10 cose che forse non sapete riguardo ai Vichinghi (parte 1)

novembre 29, 2017 15 Comments
Negli ultimi anni il mondo scandinavo (NB la pronuncia più corretta è scandinàvo non scandìnavo) ha affascinato sempre più persone, a causa della nuova moda nata con la serie tv Vikings o i film Marvel su Thor. Da studentessa di lingue e letterature nordiche non posso non notare quanti luoghi comuni sbagliati ci siano ancora oggi riguardo i vichinghi e vorrei fare un po' di chiarezza cominciando dalle 10 cose che ho sentito più spesso e che mi fanno rabbrividire. Una delle mie speranze è di diminuire la divulgazione di informazioni sbagliate e far capire alle persone di chi diffidare usando la giusta informazione come strumento per la difesa.
Ho deciso di dividere l'articolo in due parti perché mi è venuto molto più lungo del previsto.

1. L'elmo cornuto non è mai esistito.

Ebbene si, ancora oggi c'è chi crede all'iconografia nata nel Seicento dei barbari vichinghi che indossavano elmi cornuti in battaglia. Se è pur vero che elmi simili siano esistiti per cerimonie e feste, non sono state trovate attestazioni riguardo il loro uso in battaglia (che poteva anche essere controproducente durante un combattimento).
Questa iconografia fu portata avanti dagli artisti del romanticismo, pur non essendoci alcuna testimonianza storica a riguardo. Nell'Ottocento che l'idea dei vichinghi si impose alla massa con la pubblicazione della Saga di Frithiof illustrata da Gustaf Malmstrom in cui dipinse il protagonista con un elmo decorato da corna e ali di drago.
Alcuni attribuiscono una parte della responsabilità anche a Richard Wagner con il suo ciclo "L'anello del Nibelungo" in cui le valchirie indossano elmi con corna di vacca.
La società vichinga era sostanzialmente povera per cui venivano indossati elmi semplici e solo in pochi potevano permettersi intarsi o altre decorazioni in onore di Odino Hjálmberi ovvero “colui che porta l’elmo”. Per questo motivo sono giunti fino a noi pochi ritrovamenti di elmi vichinghi. È probabile che molti elmi fossero fatti di cuoio o passati di generazione in generazione fino ad essere riciclati una volta divenuti inutilizzabili.
Ci sono tre siti di ritrovamenti archeologici di elmi vichinghi: a Gjermundbu dove vi è l'unico esemplare di elmo completo datato al X secolo, Tjele in Danimarca e Lokrume nel Gotland in Svezia.
Esempi di elmi cornuti si trovano sulle piastre del famoso Elmo di Sutton Hoo (di origine Sassone) dove vi sono raffigurati elmi con teste di draghi/serpenti che sembrano rappresentare danze rituali oppure figure sul Corno d'Oro che rappresentano presumibilmente berserker, guerrieri selvaggi narrati anche nelle saghe. L'unico ritrovamento iconografico del primo periodo vichingo riguarda l'illustrazione su un arazzo ritrovato nella nave di Oseberg.
Secondo alcuni questa idea deriva dal dio Cernunnos della mitologia celtica, il dio cornuto dunque avrebbe ispirato questa tradizione. Tra i germani le corna vennero trasformate in serpenti e presero ruolo nei rituali religiosi teutonici sino al IX secolo circa.

Il professor Alessandro Barbero riguardo la questione risponde così:
In realtà c’è qualche statuetta molto, ma molto più antica (età del bronzo) e qualche ritrovamento di epoca celtica pre-romana che mostra elmi con una specie di “corna” laterali (ma bisogna fare attenzione perché c’è il rischio di interpretare in questo senso qualcosa che magari era molto diverso). L’idea è piaciuta moltissimo in epoca romantica e si sono attribuiti senz’altro questi elmi sia ai barbari dell’epoca delle invasioni, sia ai vichinghi…

Ad oggi sappiamo che probabilmente elmi rituali cornuti venissero usati per scopi cultuali, probabilmente legati a miti su animali sacri e poteri divini. È improbabile che fossero stati impiegati in battaglia per la quale sarebbero risultati molto scomodi e rischiosi oltre che ingombranti in nave. Inoltre nessuna fonte contemporanea menziona vichinghi con copricapi cornuti.
In Danimarca, a Viskø sono stati ritrovati due elmi di bronzo con delle corna risalenti all'età del bronzo (all'inizio del primo millennio a.n.e.). Erano probabilmente usati nelle cerimonie religiose e depositati nella palude dove sono stati ritrovati come offerte rituali. Funzionavano sia come elmi che come maschere ed erano dotati di occhi e becco adunco di un rapace, quasi a ricordare un gufo. Alcuni considerano le corna collegate al bue, avevano anche una scanalatura per inserire criniera di cavallo e penne di uccello alle estremità delle corna. Lungo il bordo si trovano immagini di navi, due per ogni elmo e sulla prua si trova un uccello acquatico (molto importante a livello simbolico) rappresentante la nave solare. Questo rappresentava il mito del viaggio eterno del sole fondamentale per l'epoca.

Probabilmente gli elmi rituali con le corna erano abbastanza comuni in Svezia occidentale dove si ritrovano varie incisioni rupestri di elmi cornuti come Sotetorp a Tanum, probabilmente intenti in un rito di onore al Sole, elemento centrale della religione nell'età del bronzo. Anche in Danimarca si sono ritrovate piccole figure di bronzo a Grevensvænge di uomini in ginocchio con elmi cornuti e un'ascia ornamentale in mano.  Lo stesso motivo viene ripreso su un rasoio trovato a Vestrup. In un collare da cavallo trovato a Fogdarp in Scania mostra uomini con elmi cornuti e anche una maschera trovata a Hagendrup mostra corna di bronzo.

Nella mitologia norrena, agli elmi venivano dati anche poteri magici come l'elmo magico Ægishjálmr del drago Fafnir che si dicesse capace di terrorizzare il cuore del nemico, oppure huliðshjalmr l'elmo della valchiria Brunilde che celava le sue sembianze.

2. I supereroi Marvel non sono gli Dei Scandinavi.

Odino Thor e Loki sono stati usati dalla Marvel per creare un fumetto e successivamente negli ultimi anni sono diventati famosi grazie alla trasposizione cinematografica con i tre film su Thor. Ovviamente tutto ciò ha ben poco a che fare con la mitologia norrena, ma vediamo brevemente alcune differenze nelle rappresentazioni delle tre divinità (ho scelto le tre differenze principali che ho notato per ognuno di loro). Premetto che non ho mai letto il fumetto e ho visto solo i primi due film di cui ricordo poco, per cui potrebbero essermi sfuggite alcune cose.


Odin
- Nella versione Marvel sacrifica il suo occhio a Yggdrasil, in realtà egli dovette cedere il suo occhio per bere alla fonte del gigante Mimir per acquisire la saggezza. Per quanto riguarda Yggdrasil egli rimase appeso all'albero per nove notti, ma questa è un'altra storia di cui non tratterò qui...
- Per la Marvel Loki viene adottato ancora in fasce da Odino, mentre in realtà per la mitologia Loki è suo fratello di sangue.
- A differenza della Marvel non esiste alcuna figlia Aldrif nel culto nordico.

Thor
- Nella mitologia Thor, figlio di Odino e Jord, non viene esiliato sulla Terra e non perde i poteri, non si innamora di nessuna Jane Foster ma al contrario sposa la bionda Sif.
- Invece della bionda e curata chioma fluente, Thor era solitamente rappresentato con folti capelli e barba rossi.
- Nel fumetto Thor sconfigge Loki durante i Ragnarok ed evita la Fine, mentre nella mitologia combratte contro il serpente di Midgardr e lo ucciderà per poi però morire dopo nove passi a causa del veleno del serpente.

Loki
- Secondo il mito, Loki è figlio di Laufey o Nal e del gigante Farbauti, mentre la Marvel ha invertito i nomi dei genitori.
- A differenza del fumetto, Loki e Thor non sono fratellastri ma compagni di avventure prima e nemici poi.
- Nella mitologia Loki morirà per mano di Heimdallr e non a causa di Thor.

3. I vichinghi non sono un popolo.

Non è mai esistito il popolo dei vichinghi, né una vikingland. I vichinghi non sono altro che uomini del Nord, i Northmanni che tra la fine del VIII secolo e la fine del XI avviarono il fenomeno delle spedizioni vichinghe dando il nome ad un'era e terrorizzando molte popolazioni. Dunque non una popolazione ma un'attività, allo stesso modo con cui usiamo il termine "pirati" che appunto definisce l'azione e non l'etnia. Il famoso saccheggio a Lindisfarne l'8 giugno del 793 al monastero anglosassone ha dato il via alla storiografia sulle spaventose incursioni vichinghe.
Le incursioni per mare non erano però prerogativa esclusiva degli uomini del nord. La loro spedizione si distingue dalle altre per la natura eterogenea con carattere commerciale, piratesco e di mercenariato a cui seguirono forme politiche di insediamento, per questo viene definita diaspora vichinga.
Il nome vichinghi deriva presumibilmente dai sostantivi aisl. 'viking' (fem.) e 'vikingr' (masc.) che indicano rispettivamente attività (commerciale, piratesca, militare) collegata alla navigazione e uomo imbarcato, commerciante, pirata, guerriero. Ma l'etimologia di tale nome è oggetto di controversie mai sopite. Molti continuano a usare 'vik' baia per spiegare la loro navigazione da una baia all'altra, ma così rimane il problema della parola 'viking' spedizione. Altre ipotesi sono state proposte tra gli studiosi ma non le indagherò qui.

In quest'anno terribili segnali si sono manifestati sulla terra di Northumbria, assai spaventosi per la gente; immensi lampi scossero la volta celeste e trombe d'aria e di fuoco e draghi volanti attraversarono il cielo. A questi segni seguì la carestia e dopo non molto, a sei giorni dalle idi di gennaio, le incursioni devastanti dei pagani causarono un danno irreparabile, per razzie e massacri, alla chiesa del Signore nell'Isola Santa. Dalla Cronaca Anglosassone, anno 793

4. Dreki è il nome corretto delle navi vichinghe.

La parola Dreki (antico norreno) è di origine romanza, ma comunque antica. Si trova anche nella strofa 66 della Vǫluspá dove Níðhöggr è definito appunto "dreki". È stata usata dai poeti del X e XI secolo e indica le navi da guerra che hanno un drago raffigurato sulla prua della nave (come la maggior parte delle navi).
Il plurale di Dreki è Drekar da cui probabilmente deriva la parola Drakkar, usata sopratutto in Francia. Dunque porta tre errori in una sola parola: di numero, morfologia e ortografia.

Ma la nave del re [Óláfr Tryggvason] era dotata di ottanta banchi separati ed aveva l’immagine intagliata di una testa di serpente a poppa e a prua: era chiamata “il Lungo Serpente”. Quando le panche erano occupate per intero ospitavano centosessanta rematori, i quali – nella battaglia di cui sto parlando – si dice fossero tutti muniti di corazze. Nelle venti panche presso la prora si trovavano pure quaranta preti: in battaglia davano il loro contributo più con la preghiera che con le armi. Da "Historia Norwegie"

5. I Ragnarok è plurale.

La parola "Ragnarøkkr" appare soltanto nell'Edda di Snorri Sturluson e nella Lokasenna, possiamo dedurne che ci sia stata una contaminazione tra le parole "røkkr" (masc. sing) e "rǫk" (neut. plur.) da cui deriva il "Ragna røkrs", ovvero il momento che attende Fenrir incatenato, come viene narrato nella Lokasenna, questo anche a causa dell'idea dell'epoca riguardo l'eclissi del paganesimo di fronte alla vera religione cristiana.
Nella strofa 44 della Vǫluspá si trova per la prima volta la parola "Ragna rǫk" e, come spiegato magnificamente da Marcello Meli nell'edizione curata da lui (Carocci editore), rǫk indica “causa”, “origine”, “portento”, “destino”, ma può indicare anche i racconti sugli dei o gli accadimenti che riguardano gli dei come in "tiva rǫk" ad esempio. Da queste informazioni possiamo dedurre che i "Ragna rǫk" designano i vari momenti fondamentali storici, avvenimenti importanti che segnano i cicli cosmici. È pur vero però che "røkkr" significa oscurità, crepuscolo, tenebra e dunque il "Ragnarøkkr" sarà il crepuscolo degli dèi.

Si colpiranno i fratelli e si uccideranno l'un l'altro, saranno dimenticati i legami di parentela. Violenza e perversione riempiranno il mondo. Tempo di asce e di spade, si frantumeranno gli scudi: tempo di vento e di lupi, e il mondo crollerà. Non vi sarà un uomo che vorrà risparmiarne un altro. Vǫluspá (trad. Bifrost)

Spero che questa prima parte vi sia piaciuta! 
E voi sapevate queste cose? Avete dubbi o domande sui vichinghi? 
C'è altro che vi piacerebbe sapere?